Sempre più difficile fare impresa in Italia. I segnali di ripresa, se ci sono, si traducono in un lieve rallentamento della strage di imprese iniziata già da anni e mai interrotta. Con buona pace di chi ancora vede segnali positivi e incoraggianti. Il Centro Studi ImpresaLavoro ha messo in fila i dati sui fallimenti degli ultimi sei anni.
Dal 2009 a oggi sono fallite 95mila imprese e alla fine del 2016 si prevede avranno chiuso i battenti 100mila. Il ritmo è impressionante: in Italia chiudono per insolvenza 57 imprese ogni giorno lavorativo. Fallimenti veri, non un dato fisiologico, rileva il centro studi diretto dall’imprenditore Massimo Blasoni.
ImpresaLavoro, basandosi su dati provenienti dall’Ocse evidenzia come i fallimenti in Italia siano cresciuti del 55,42% rispetto a sei anni fa, cioè da quando è iniziata la crisi mondiale. Sono passati dai 9.384 del 2009 ai 14.585 del 2015.
Un dato, questo, che non ha paragoni con le altre grandi economie monitorate dall’Ocse: oltre all’Italia, infatti, solo la Francia (+13,81%) presenta oggi un numero di fallimenti superiore rispetto al 2009 e con proporzioni del fenomeno decisamente più limitate rispetto all’Italia
In altre parole il problema dell’Italia non è la crisi della finanza mondiale. Semmai i mercati in tempesta dal 2009 ad oggi, hanno fatto emergere la debolezza del Paese. E l’incapacità della politica a dare risposte ai problemi delle imprese.
In tutti gli altri Paesi, c’è infatti stato un numero di aziende fallite inferiore a quello di sei anni fa. Le aziende costrette a chiudere per insolvenza economica sono calate in Spagna (-4,45%), Germania (-22,90%) e Olanda (-30,25%).
L’unico sollievo per l’Italia è un lieve rallentamento dei fallimenti nei primi due trimestri di quest’anno rispetto all’anno precedente. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi ImpresaLavoro, alla fine del 2016 saranno fallite in Italia 14.348 imprese su base annua, 237 in meno del 2015 e quasi 1.000 in meno rispetto al picco registrato nel 2014.
Un po’ di ottimismo è d’obbligo, ma il problema è che l’Italia resta lontanissima dai livelli pre-crisi (nel 2009 i fallimenti furono 9.384) ed è sempre più distante dagli altri Paesi europei.
La soluzione secondo Blasoni, imprenditore del Nord Est, sono le riforme. «La ripresa del ciclo economico dipende dalla salute delle imprese. Occorrono politiche volte a ridurre il macigno della burocrazia e il peso delle tasse». Altrimenti il rischio è quello di «un ulteriore incremento del numero dei fallimenti».
Confindustria ha fatto il punto sullo stato dell’industria italiana, che tutto sommato sta difendendo le sue posizioni. Il manifatturiero riesce a mantenere la seconda posizione in Europa e a collocarsi al settimo posto nel mondo, con una quota del 2,3%, che è comunque quasi dimezzata rispetto al 2007.
L’Italia, secondo il Centro studi Confindustria, è invece nona nell’export di manufatti e ottava se si mette in conto il recente deprezzamento della sterlina, che riduce il valore delle merci britanniche. Un po’ più di ottimismo, ma la diagnosi è la stessa. Mentre gli altri Paesi si riprendono, l’Italia fa i conti con «vuoti produttivi» che non vengono colmati.
Fonte: www.informarexresistere.fr