Il Paese africano, dopo sette anni di Ogm, torna alle sementi tradizionali. Una decisione presa dopo molti raccolti insoddisfacenti

ALESSIA DE LUCA TUPPUTI

I bambini giocano affondando le mani in morbide montagne bianche. Potrebbe essere neve, se non fossimo nel cuore dell’Africa Occidentale: le immagini che arrivano dal Burkina Faso descrivono in maniera eloquente la strabiliante produzione di cotone ottenuta quest’anno, dopo la decisione dei coltivatori locali di eliminare le sementi geneticamente modificate per tornare alla coltivazione tradizionale. Secondo il Comitato consultivo internazionale del cotone (Icac), nel 2016 il paese produrrà 314.000 tonnellate di fibra di cotone: un raccolto complessivo superiore del 29% rispetto a quello dello scorso anno.

Un record - in un paese per cui l’«oro bianco» costituisce una delle principali fonti di reddito - che suona come uno schiaffo alla multinazionale Monsanto, che vi aveva introdotto il cotone Ogm nel 2009. «La luna di miele tra Monsanto e il Burkina sembra essere finita», ci dice François Kaboré, già docente di Innovazione e tecnologia all’African Institute for Social and Economic Development di Abidjan. Nei primi anni, spiega l’esperto, il cotone Ogm aveva suscitato grandi speranze: minor necessità di trattamenti in fase di coltivazione, riduzione della mole di lavoro per i produttori, maggiori risultati in termini di resa. A distanza di sette anni, però, il cotone prodotto con sementi geneticamente modificate non si è rivelato di buona qualità come quello tradizionale. E, di conseguenza, si vendeva peggio e a un prezzo minore.

«Si tratta di una differenza che deriva per lo più dalla lunghezza della fibra – spiega Kaboré - quella prodotta dai semi creati nei laboratori della multinazionale americana è molto più corta di quella tradizionale burkinabé». Per questo la Sofitex, la società nazionale dei produttori di fibre tessili, chiede oggi a Monsanto di coprire le perdite causate dall’utilizzo dei semi di cotone transgenico. Il colosso della biotecnologia agraria, da parte sua, attribuisce le responsabilità di quanto accaduto a un «cattivo utilizzo» del prodotto.

La questione è già oggetto di un’aspra battaglia legale. ma l’inversione di rotta è definitiva, e prevede una eliminazione progressiva delle colture di cotone Ogm fino al ritorno, nel 2018, a coltivazioni con sementi al 100% tradizionali. «Di sicuro quanto accaduto viene osservato con interesse da molti in Africa Occidentale – conclude Kaboré – e anche in Ciad, Mali, Benin e Niger ci si sta tirando indietro davanti alla proposta di introdurre nuove coltivazioni di cotone Ogm».

Oggi Monsanto - che puntava a fare del Burkina Faso una «vetrina» per lanciare la grande distribuzione delle sementi Ogm in tutto il continente - è additata come la principale responsabile del crollo del settore cotoniero burkinabé ed esortata a pagare 73 milioni di euro di risarcimento per le perdite accumulate dai produttori locali. Un bilancio che fa riflettere e impone cautela sulle prospettive delle coltivazioni Ogm in Africa.

Fonte: La Stampa